[newsgoth]
Signorino Kenway lei continua a parlare del mio dono, ma lei non sa cosa io posso o non posso fare. Avere l'Occhio Interiore attivo non è la stessa cosa di avere il "Dono della Vista", il poter piegare ai propri voleri una fiamma non da automaticamente il controllo sull'acqua o sulla sfera nè le permetterà di fare una qualche Profezia o premonizione.
Rimase in contemplazione di quelle parole.
I suoi occhi, rubini spenti e attenti, osservavano le iridi blu della donna con un interesse tale da risultare quasi assoluto.
Null'altro intorno a lui distraeva i pensieri e la mente, nemmeno la presenza rivelata di quell'animale.
In fondo lo conosceva già, semplicemente questo la professoressa non poteva saperlo.
Ininfluente comunque, adesso che aveva raccolto il consenso da parte di ella per proseguire a parlare e non interrompere sul più bello un discorso tanto fondamentale tanto utile.
Zephyr Kenway non era un ragazzo come tutti gli altri e questo ormai lei lo aveva capito e compreso anche attraverso i suoi modi di fare, nonché le visione che avevano attraversato poco prima la sua mente o forse la sua stessa anima.
In realtà nei suoi pensieri, Zephyr si stava chiedendo se...
Alcuni sostengono che coltivando il proprio Occhio Interiore sia possibile ottenere la "Vista".
Altri dicono che è un qualcosa di innato, ma vede, nessuno con un briciolo di senno potrebbe mai volere avere questo dono.
Allora lui era senza un briciolo di senno, almeno secondo quanto la docente stava affermando.
Avere un dono innato per lui significava aver ricevuto qualcosa di grande e speciale fin dalla nascita, senza bisogno di agenti esterni.
Gli esperimenti eseguiti su di lui non potevano avergli conferito qualcosa di non calcolato o voluto, dunque tutto ciò che egli avesse scoperto come innato, sarebbe derivato per forza di cose dalla sua interiorità, dal suo destino, qualcosa che trascendeva del tutto i piani della Setta.
In un certo senso, Zephyr era esaltato dentro di se ed emozionato parzialmente all'idea di scoprire di possedere un prezioso tesoro che non gli era stato affidato con la forza, con un esperimento, con una serie incalcolabile di numeri e formule magiche.
Per
Tisifone era qualcosa di terribile, qualcosa che conduceva l'uomo ad una vita segnata e a tratti sconfortante, per lui invece poteva essere la prova di avere qualcosa di autentico, in mezzo a quel mare di artificialità.
Ne parlerò durante la prossima lezione ma se proprio insiste le darò una piccola anticipazione Signorino Kenway...
Avere il Dono della Vista vuol dire passare il resto della propria vita reclusi in una delle prigioni dorate del Ministero oppure cercando di nascondersi dagli Auror.
Non è una prospettiva allettante, Professoressa.
Ma a questo punto, meglio saperlo subito e prepararsi nel caso allo scorrere degli eventi, dico bene?
Che sia una cella dorata, una fuga infinita...
O una vita scontata, ma quello preferì non dirlo, non menzionarlo.
... La nostra vita è nelle nostre mani.
Non di chi l'ha conferita, non di chi pretende di comandarti a bacchetta perché ti ha reso quello che sei.
La libertà, per Zephyr la libertà era tutto, era il punto focale, il culmine dei suoi desideri.
Non gli importava di arrivare ad un concetto assurdo o troppo astratto, strano per un ragazzo della sua età.
Lui l'età l'aveva persa ormai da tempo.
Se non altro Melia poteva ancora affermare di avere un suo corso temporale, anche se accelerato nella sua mentalità e nella sua maturità.
Lui cosa aveva? Un "tempo"?
Assolutamente no, lui il tempo lo aveva lasciato avanti, indietro, o forse lo portava con se come una zavorra fastidiosa e invisibile.
Dopo alcuni attimi di esitazione e riflessioni, attimi nei quali la donna fece presente che oltre alla fiducia aveva bisogno di prove, prove che le garantissero che non fosse uno spreco di energie starlo ancora a sentire o ad aiutare, le mani, quelle stesse citate da Zephyr poco prima, vennero richieste ai lati di una sfera di cristallo, per dimostrare realmente quali fossero gli esiti di quella ricerca.
Prenda una sedia e la posizioni lì di fronte alla cattedra.
Posizioni entrambe le mani ai lati della sfera, parallele al tavolo, ma senza toccarne la superficie e si concentri solo su di essa.
La sfera deve diventare tutto il suo mondo e null'altro.
Annuì lentamente, senza rispondere, non ce n'era bisogno ora come ora.
Si avvicinò alla cattedra, fissando quella sfera e già focalizzandosi in essa come se rappresentasse il centro del suo mondo.
Le domande avrebbero aspettato, le risposte anche, il suo destino si trovava forse su quella superficie di legno liscio.
Portò la sedia avanti ad essa e si sedette, allungando le braccia senza farle posare con i gomiti al sostegno.
Mani che andarono quindi a circondare con leggerezza percepibile ed estrema cura il globo trasparente e freddo.
Paura? Lui?
Assolutamente no, nessun timore di sbagliare, nessun timore di sapere la verità, sapere che forse non era destinato, non era pronto a tutto ciò.
O forse che non lo sarebbe mai stato.
Credere di fallire era il primo passo verso il fallimento stesso, e questo non glielo aveva detto nessuno, non glielo aveva insegnato nessuno, lo aveva capito e appreso da se, per questo sentiva tutta l'importanza ed autenticità di quel pensiero e di quel dogma, molto più di altri imposti.
Respirava con accennato affanno, facendo intendere che sul serio non faceva altro che concentrarsi su quella sfera.
Deglutiva con lentezza, le palpebre venivano chiuse con intervalli a dir poco pazzeschi, tanto da far scoppiare qualche capillare degli occhi.
La sua volontà, lo sforzo per capire quale fosse il suo vero "io", la sua natura, il suo dono.
Per lui non c'era qualcosa di autentico nel suo essere, niente di reale, niente di conferito dallo stesso principio naturale dei viventi.
Parte di se non viveva più, poiché per un quarto racchiudeva in se l'energia di un non vivente.
Era allora così sbagliato sperare con tutte le proprie forze che negli altri tre quarti ci fosse qualcosa di non corrotto dalla morte?
Mai aveva sentito gridare il suo spirito, mai aveva sentito implorare le forze di lasciar stare, mai aveva sentito il brivido di avere paura.
Adesso che di fronte a se c'era qualcosa per lui inconoscibile e incongruente con lo spazio e con il tempo, si sentiva affine ad esso e non desiderava che fosse solo un'impressione, solo un sogno, solo un'immagine residua di un qualcosa che non sarebbe mai avvenuto.
Lui era senza tempo, la Divinazione... Anche. Spaziava in esso e ne traeva beneficio e immagini, luoghi ed emozioni.
Avevano qualcosa in comune, qualcosa che nessun altro poteva possedere, "Lei" lo avrebbe capito? "Lei" lo avrebbe accettato?
L'affinità lo avrebbe aiutato a governare meglio quella forza, ma era necessario che essa risiedesse in lui già dal principio.
Il momento della verità, ma certo questo lui non lo poteva sapere, troppo impegnato a concentrarsi anche soltanto per accorgersi se le mani stessero emettendo una qualche sorta di energia o meno.[/newsgoth]