Re: Salvador
Inviato: 12/10/2014, 21:39
Erano rare le volte in cui si poteva dire di averla vista piangere in quel modo, e in ogni occasione c'era stato Cole, accanto a lei: non aveva pianto così tanto quand'era morto il padre, ed era riuscita a contenersi discretamente anche durante gli abusi ad Azkaban… stavolta, invece, era crollata.
Una parte di lei se ne vergognava, e a posteriori forse si sarebbe odiata per questo… ma un'altra parte sentiva che quella era esattamente la cosa giusta da fare, che aveva bisogno di piangere, di sfogarsi: perché essere fredda, insensibile verso il mondo, forte ed impenetrabile era più faticoso di quanto chiunque potesse pensare… e anche la roccia, per quanto spessa, si poteva crepare.
Per questo, senza pensare troppo alle conseguenze, si lasciò cullare dalle braccia di Venser, cercando un appiglio di fredda razionalità a cui aggrapparsi per tornare la stessa di sempre, per recuperare l'auto-controllo che di solito possedeva: non credeva che Laghoon sapesse gestirla in quello stato, onestamente temeva che in quel preciso istante fosse spaventato a morte; e invece…
... Il vento che scorre tra le fronde, il rumore delle foglie secche autunnali calpestate, i raggi del sole che filtrano attraverso le nuvole, riscaldando il viso. Il frutto maturo che cade dal ramo, lo scorrere del fiume in mezzo ai piccoli sassi bianchi della riva, il cantare delle cicale e dei grilli, le ninfee che galleggiano sul lago e le lucciole che popolano le caverne.
La sua voce, calda, ferma, rassicurante, era per lei come il balsamo adatto a curare le ferite del suo cuore, perlomeno quelle più esterne e superficiali: lentamente, pur ancor piangendo, Nylea cominciò a respirare in modo più regolare, e i singhiozzi presero a diminuire.
L'erba alta delle colline, l'odore della rugiada fresca al mattino, le coccinelle sui fiori, il tronco dell'albero secolare che nasconde funghi, muschio profumato e le ghiande degli scoiattoli.
La pioggia che cade sulle grandi foglie rimbalzando, il tappeto di stelle notturno, l'arcobaleno dopo il temporale e la tenue nebbia invernale.
Chiuse gli occhi, concentrandosi sulle sue parole, sforzandosi di immaginare il più dettagliatamente possibile ciò che lui le stava descrivendo, quei luoghi che, più di altri, per lei avevano il sapore di casa.
Sentiva le sue carezze, i suoi baci lievi, ed immaginava fossero delicate coccole del Vento in una tiepida serata estiva, quando più che in ogni altro momento si potevano apprezzare i suoi refoli: e quando Venser la prese in braccio, la Herbert per la prima volta non oppose resistenza a quel prolungato contatto fisico, posando invece la testa sul suo petto ed un braccio dietro al suo collo.
La prima cosa che percepì, la prima meravigliosa sensazione che il suo corpo registrò, fu quello del Sole che le baciava il viso, e che le fece capire come fossero usciti dall'edificio: poi, il ragazzo la poggiò delicatamente a terra, su un giaciglio preparato fuori dalla sua tenda, cosicché potesse essere ancora a contatto con la natura che le piaceva tanto; non le andava a genio che lui la spogliasse, che osservasse le ferite riportate - soprattutto le ultime a causa di quella dannata incantatrice, ma non provò nemmeno a fermarlo. Era troppo stanca.
Allora... Ti senti meglio?
Intendi meglio di quando stavo per morire? - domandò lei debolmente, ma con quel tocco d'ironico sarcasmo che la contraddistingueva - Certo…
Hai bisogno di qualcosa?
... Ce l'abbiamo fatta, missione compiuta Caporale.
Credo di averne ucciso qualcuno di troppo… - replicò lei con aria stanca, sbattendo lentamente le palpebre per poi posare gli occhi su di lui e fissarlo intensamente - Venser… vieni qui, vicino a me.
Era un ordine sussurrato dolcemente, che sperava l'altro avesse seguito.
Ascolta… e ricordalo…
Mormorò in un soffio, concentrando le forze sulle note che poco dopo fischiò per due volte, così da permettere a Laghoon di stamparsele bene a mente.
Quando ero ad Azkaban, ho sentito queste note cantate da una ghiandaia che si era appoggiata sulla finestra della mia cella: è successo il primo giorno che mi avevano violentata, dopo che le guardie avevano finito di divertirsi con me, e… mi è sembrato il suono più bello del mondo. - raccontò, con un debole sorriso amaro sulle labbra: fragile, come lei in quel momento - Ho fischiato quelle note ogni notte, dopo che quegli uomini abusavano di me… le ripetevo per ore, fino ad addormentarmi.
È una cosa che non ho mai raccontato nemmeno a Cole… non so perché lo sto dicendo proprio a te, ma sento che è giusto così.
Prese un lento respiro, una smorfia di dolore che le attraversò il volto per un secondo prima di permetterle di distenderlo nuovamente.
Voglio… voglio che lo impari.
E che lo usi, se in futuro… avrai bisogno di me. Tu fischia quelle quattro note, ed arriverò. - una promessa, questo sembrava, pronunciata solennemente nonostante la stanchezza, la debolezza e le ferite - Ed io farò lo stesso con te.
Una parte di lei se ne vergognava, e a posteriori forse si sarebbe odiata per questo… ma un'altra parte sentiva che quella era esattamente la cosa giusta da fare, che aveva bisogno di piangere, di sfogarsi: perché essere fredda, insensibile verso il mondo, forte ed impenetrabile era più faticoso di quanto chiunque potesse pensare… e anche la roccia, per quanto spessa, si poteva crepare.
Per questo, senza pensare troppo alle conseguenze, si lasciò cullare dalle braccia di Venser, cercando un appiglio di fredda razionalità a cui aggrapparsi per tornare la stessa di sempre, per recuperare l'auto-controllo che di solito possedeva: non credeva che Laghoon sapesse gestirla in quello stato, onestamente temeva che in quel preciso istante fosse spaventato a morte; e invece…
... Il vento che scorre tra le fronde, il rumore delle foglie secche autunnali calpestate, i raggi del sole che filtrano attraverso le nuvole, riscaldando il viso. Il frutto maturo che cade dal ramo, lo scorrere del fiume in mezzo ai piccoli sassi bianchi della riva, il cantare delle cicale e dei grilli, le ninfee che galleggiano sul lago e le lucciole che popolano le caverne.
La sua voce, calda, ferma, rassicurante, era per lei come il balsamo adatto a curare le ferite del suo cuore, perlomeno quelle più esterne e superficiali: lentamente, pur ancor piangendo, Nylea cominciò a respirare in modo più regolare, e i singhiozzi presero a diminuire.
L'erba alta delle colline, l'odore della rugiada fresca al mattino, le coccinelle sui fiori, il tronco dell'albero secolare che nasconde funghi, muschio profumato e le ghiande degli scoiattoli.
La pioggia che cade sulle grandi foglie rimbalzando, il tappeto di stelle notturno, l'arcobaleno dopo il temporale e la tenue nebbia invernale.
Chiuse gli occhi, concentrandosi sulle sue parole, sforzandosi di immaginare il più dettagliatamente possibile ciò che lui le stava descrivendo, quei luoghi che, più di altri, per lei avevano il sapore di casa.
Sentiva le sue carezze, i suoi baci lievi, ed immaginava fossero delicate coccole del Vento in una tiepida serata estiva, quando più che in ogni altro momento si potevano apprezzare i suoi refoli: e quando Venser la prese in braccio, la Herbert per la prima volta non oppose resistenza a quel prolungato contatto fisico, posando invece la testa sul suo petto ed un braccio dietro al suo collo.
La prima cosa che percepì, la prima meravigliosa sensazione che il suo corpo registrò, fu quello del Sole che le baciava il viso, e che le fece capire come fossero usciti dall'edificio: poi, il ragazzo la poggiò delicatamente a terra, su un giaciglio preparato fuori dalla sua tenda, cosicché potesse essere ancora a contatto con la natura che le piaceva tanto; non le andava a genio che lui la spogliasse, che osservasse le ferite riportate - soprattutto le ultime a causa di quella dannata incantatrice, ma non provò nemmeno a fermarlo. Era troppo stanca.
Allora... Ti senti meglio?
Intendi meglio di quando stavo per morire? - domandò lei debolmente, ma con quel tocco d'ironico sarcasmo che la contraddistingueva - Certo…
Hai bisogno di qualcosa?
... Ce l'abbiamo fatta, missione compiuta Caporale.
Credo di averne ucciso qualcuno di troppo… - replicò lei con aria stanca, sbattendo lentamente le palpebre per poi posare gli occhi su di lui e fissarlo intensamente - Venser… vieni qui, vicino a me.
Era un ordine sussurrato dolcemente, che sperava l'altro avesse seguito.
Ascolta… e ricordalo…
Mormorò in un soffio, concentrando le forze sulle note che poco dopo fischiò per due volte, così da permettere a Laghoon di stamparsele bene a mente.
Quando ero ad Azkaban, ho sentito queste note cantate da una ghiandaia che si era appoggiata sulla finestra della mia cella: è successo il primo giorno che mi avevano violentata, dopo che le guardie avevano finito di divertirsi con me, e… mi è sembrato il suono più bello del mondo. - raccontò, con un debole sorriso amaro sulle labbra: fragile, come lei in quel momento - Ho fischiato quelle note ogni notte, dopo che quegli uomini abusavano di me… le ripetevo per ore, fino ad addormentarmi.
È una cosa che non ho mai raccontato nemmeno a Cole… non so perché lo sto dicendo proprio a te, ma sento che è giusto così.
Prese un lento respiro, una smorfia di dolore che le attraversò il volto per un secondo prima di permetterle di distenderlo nuovamente.
Voglio… voglio che lo impari.
E che lo usi, se in futuro… avrai bisogno di me. Tu fischia quelle quattro note, ed arriverò. - una promessa, questo sembrava, pronunciata solennemente nonostante la stanchezza, la debolezza e le ferite - Ed io farò lo stesso con te.